Su ballu ‘e sa varja

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Barbaricina

Il ballo dell’Argia, un rito di guarigione in Sardegna. Una ricerca su Mamoiada.

Nel 2001, in un vecchio numero de S’Istentu, scrissi un articolo che riguardava l’antica tradizione del Ballo dell’Argia con qualche notizia in più su chi praticava il ballo a Mamoiada.

Uno dei libri dal quale mi documentai fu proprio quello di Clara Gallini “La Ballerina Variopinta”, la cui prima edizione pensate un po fu nel 1988.

Tra il mito e la realtà, ricostruzione di un rito, di un usanza oramai scomparsa, in cui la danza gioca un ruolo importante contro gli effetti dell’avvelenamento dal morso di un ragno.

argia o malmignatta
Il ragno “argia” o malmignatta.

Argia significa “variopinta”, multicolore, varia, in paese la chiamiamo “Varja”, ed è il nome con il quale in genere vengono individuati quella specie di ragni nostrani (Latrodectus tredecimguttatus) il cui mor­so è particolarmente velenoso o le mutille.

A Mamoiada in realtà Sa Varja è anche utilizzata per chiamare un tipo di vespa, nota come vespa vasaio.

La vespa chiamata a Mamoiada “Sa Varja”

Mamma mi racconta che sia Mammaì Mercuriu che Nonna Sale le dicevano sempre da piccola “ista attenta a sa varja”, indicando appunto questa specie di vespa. Ma ne ho avuto la conferma anche da altre persone.

Entrambe, in genere, fanno la loro comparsa nei mesi estivi. Ma sembra più probabile che sia solo il ragno, (Latrodectus) che è velenoso e tos­sico, a comportare l’esecuzione del ballo di cui farò una descrizione seppur non troppo dettagliata per la scarsità di infor­mazioni inerenti questa pratica oramai scomparsa; anche se molte persone di Mamoiada parlando de sa varja la descri­vono effettivamente come una grossa for­mica volante e variopinta.

L’argia, è sempre di sesso femminile, ap­partiene ad un determinato stato civile (celibe, coniugata, vedova ecc .. ) e le va­rie colorazioni o macchie presenti nel ra­gno indicano i tipi di abbigliamento che come per i costumi dei paesi della Sarde­gna contraddistinguono le nubili, le ve­dove e le coniugate ( probabilmente le uniche categorie che effettuavano il ballo dell’argia in Barbagia).

Può essere capitato a molti di voi, per esempio, di sentir parlare de “su ballu ‘e sas viudas”, questo perché se il malcapitato/a veniva punto o morso dall ‘argia che si presentava di colore nero, allora il ballo doveva essere eseguito dalle vedove, in genere sette, se invece il ragno era maculato (pintau) a vari colori allora a seconda di questi ultimi veniva eseguito dalle nubili o dalle sposate.

Tra tutte le punture di insetti o morsi di animale, la puntura dell’argia era la più velenosa o addirittura mortale se non veniva subito curata, per questo era necessario un rito, una terapia, quella del ballo, l’unico modo che potesse calmare o far cessare il dolore e gli spasmi provocati dalla sua puntura che in genere avveniva d’estate nel periodo della mietitura.


Il ballo, che assume una connotazione esorcistica varia da comunità a comuni­tà per cui non è facile darne una descri­zione completa ed esaudiente, ciò dipen­de soprattutto dalle usanze del paese di appartenenza.

il ballo dell'argia
Particolare del video documentario sul ballo delle vedove.

Le regole compositive del gruppo che balla sono distinte in base al sesso o allo stato sociale, ma si può dire che in Barbagia l’esecuzione del rito viene affi­data ad un gruppo “esorcistico” formato solamente dalle componenti femminili di una comunità e quindi determinate dallo stato sociale ad es. le vedove, ad esclu­sione del suonatore, indispensabile per eseguire l’accompagnamento musicale, che poteva quindi essere di sesso maschi­le.


Nel ballo eseguito dalle donne, in genere sette per ogni stato civile, (vedove, coniugate o nubili), sono chiari e visibili gli ele­menti carnevaleschi e le donne hanno li­bertà di comportamento che si unisce a oscenità verbali e mimiche ( anche se per Mamoiada non ve ne è la certezza assolu­ta).

Questo rito, come gli altri si svolgeva probabilmente in segreto; anche il ballo delle vedove poteva assumere questa connotazione, questo perché lo stato vedovile imponeva dei tabù e controlli sociali come impossibilità di partecipare ai balli e alle feste o l’obbligo di restare rinchiuse nelle pareti domestiche per mesi e l’abbandono del lutto avveniva solo nel caso di seconde nozze.

Il ballo dell’Argia a Mamoiada

Mia nonna mi raccontò che una volta da piccola (mia nonna era del ’31), guardò dal buco della serratura il ballo dell’argia, tra le donne che eseguivano il ballo c’era tzia Gregoria Porcu, la nonna di Gregoria Bonamici, e le sentiva dire la frase “chilliatebos commo” (alzatevi ora)! A quel punto le donne si stringevano attorno al malcapitato, riaprendo successivamente il ballo.

Tzia Gregoria che era di Lula era nota in paese per la pratica di questo rito. Oltre ai ricordi di Nonna e altre anziane come tzia Maria Barone vi è stata la testimonianza di tzia Juvannedda Anzone che si ricorda in particolare di un episodio di ballu ‘e sa varja a cui aveva assistito dove tzia Gregoria ballando cantava : “Chilliatelu su ballu, chilliatebos como, como chi so in muta so in muta”.

L’episodio ben noto a tutto il paese era ancora impresso nella mente di diversi anziani. L’uomo a cui fecero questo esorcismo non era di Mamoiada ma venne morso dal ragno nelle campagne e la fama di tzia Gregoria era ben nota in provincia.

Quel ballo, come tra l’altro si ricordava anche Nonna, venne eseguito nei pressi de Sa Pratha Manna. Persino Nivola si ispirò al famoso ballo delle vedove di Mamoiada realizzando alcuni piatti in ceramica.

La copertina del libro di Clara Gallini è una tela del nostro compaesano Giovanni Canu del 1966.

Il ballo dell'argia di Giovanni Canu
Il ballo dell’argia di Giovanni Canu, copertina del libro “La ballerina variopinta” di Clara Gallini.

“A Mamoiada, la funzione terapeutica ed “esorcistica” del ballo delle vedove deriverebbe dal contrasto evidente tra l’auste­rità dello stato vedovile e l’esibizione di una sua inconsueta licenza” (Dal Libro di Clara Gallini – La ballerina variopinta).

Sempre a Mamoiada probabilmente scomparvero gli altri tipi di ballo che si ridussero esclusivamente al solo ballo descritto prima. I temi trattati nel canto che accompagnavano il ballo spaziavano dai canti d’amore ai lamenti funebri, e canti con altri contenuti.

Nel libro, Clara Gallini, ne riporta diversi e uno è proprio di Mamoiada:

“Duru duru bene meu/ a ti bal­lare sa paza/ miseru che ti traza / chi ses a incarrigu meu”.

Duru Duru bene mio/ che ti balli la paglia / Misero chi ti sopporta / che sei incaricato a me.

Ma cos’è in fondo il ballo dell’argia?

Un rito sociale terapeutico o esorcismo? Le persone che sono guarite, lo sono state per effetto di questo rito? Probabilmente la guarigione non è dovuta al ballo ma per il semplice fatto che l’effetto del morso spa­riva dopo 2 o 3 giorni.

Eppure di questo rito si è scritto, si è par­lato, si è cercato di capirne il significato profondo, ma tutto resta ancora da sco­prire, da scrivere, perché in fondo l’uni­verso delle nostre tradizioni solo in appa­renza è stato svelato e chi sa se mai lo potrà essere fino in fondo.

Addentriamoci nei monti della Sarde­gna, nei suoi villaggi più isolati, fino an­che a raggiungere ad oriente altre coste marine, non amate dall’interno e quasi inaccessibili dall’esterno.

Lì troveremo ancora là memoria del regno di un’ Argia ‘assolutamente pagana, in cui era ancora possibile, ridendo, ballare la morte e il dolore. (C.Gallini)”