La Chiesa di NS di Loreto

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Barbaricina

Un altro importante tassello per la conoscenza del nostro territorio e delle nostre origini, è dato daIle origini dell’imponente Chiesa di Loreto.

I testi riprodotti all’interno di questo articolo sono interamente tratti dallo Studio delle Dott.sse Maria Paola Dettori e Gabriela Frulìo (che ringrazio tantissimo per la disponibilità) che tempo fa hanno portato avanti i lavori di Restauro della Chiesa di Loreto e alla fine dei quali ne è scaturito il lavoro di ricerca: “Il Complesso della rotonda della Beata Vergine di Loreto a Mamoiada” – Studi e ricerche per il restauro a cura della Sopraintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici ed Etnoantropologici per le province di Sassari e Nuoro. La pubblicazione dei contenuti del presente articolo mi è stata personalmente autorizzata dalla Soprintendenza e dalle autrici stesse. Nè è per tanto vietata la riproduzione o l’estrapolazione dello stesso per pubblicazioni su altri siti e pagine personali.

” Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Sardegna, Sopritendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storico Artistici ed Etnoantropologici per le province di Sassari e Nuoro, tratto da Il complesso della rotonda della Beata Vergine di Loreto a Mamoiada, a cura di M.P. Dettori, G. Frulio (Soprintendenza BAPSAE per Sassari e Nuoro 2012).”

La rotonda intitolata alla Beata Vergine di Loreto sorge al centro dell’abitato storico di Mamoiada; il paese ha origini certamente medievali per la sua rilevanza territoriale, pur se le prime fonti scritte attestanti la Villa risalgono alla metà del XIV secolo. NeIl’area storica sono ancora presenti tipi edilizi e murature che testimoniano una parte importante dello svi luppo urbano entro il XIV secolo, nonché alcuni importanti registri decorativi, sia in edifici religiosi che civili, ascrivibili alI’età gotico-catalana.

Parte storica relativa agli anni di costruzione e alle maestranze a cura di Gabriella Frulio.

La rotonda intitolata alla Beata Vergine di Loreto sorge al centro dell’abitato storico di Mamoiada; il paese ha origini certamente medievali per la sua rilevanza territoriale, pur se le prime fonti scritte attestanti la Villa risalgono alla metà del XIV secolo. Nell’area storica sono ancora presenti tipi edilizi e murature che testimoniano una parte importante dello sviluppo urbano entro il XIV secolo, nonché alcuni importanti registri decorativi, sia in edifici religiosi che civili, ascrivibili all’età gotico-catalana.




La chiesa è un edifico ad iconografia centrica costituito, in esterno, da un nitido volume cilindrico di base con un tamburo esagonale a risparmio, su cui imposta una alta cupola ogivale con lanternino. Internamente la chiesa mantiene la scansione senaria ovvero un ampio vano cilindrico dilatato da un’abside e cinque nicchie radiali, separate da lesene interrotte; la principale fonte di luce è costituita dalle sei finestre distribuite sul tamburo ed altrettanti sei oculi in asse, all’imposta della cupola.

chiesa di loreto

L’attribuzione cronologica della struttura rotonda a partizione esagonale rimane ad oggi ancora aperta nonostante l’indagine delle fonti abbia restituito per l’attuale edificio una datazione certa intorno ai primi anni del XVIII secolo. Sono infatti la particolare icnografia centrica scandita sul modulo senario e la stereotomia circolare del cilindro di base e del tamburo che lasciano aperti i dubbi su una attribuzione anteriore, forse una rotonda sul modello imitativo orientale organizzata secondo il numero sei, caro alla tradizione medievale?

La Chiesa di Loreto 1919 circa.

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 Il 10 maggio 1709 è stipulato in Mamoiada presso il notaio Alessio Demontis un contratto tra Giuseppe Gualliò milanese, domiciliato nella città di Sassari, capomastro di fabbrica, e Quirico Querenty, devoto di Nostra Signora di Loreto della presente villa di Mamoyada, con il permesso del rettore don Proto Melony e del procuratore delle chiese della villa Giuseppe Galisay ed il nobile don Antonio Sedda Satta priore della confraternita di N. S. dei Sette Dolori e la licenza dell’Ill.mo don Francesco Masones y Nin arcivescovo di Arborea, ottenuta il 15 aprile 1708. Il contratto si basa su un precedente atto rogato in data 1708 presso il notaio Giovanni Battista Lay “in questa villa”, un accordo sui lavori iniziati della nuova chiesa della SS. Vergine di Loreto, sita dentro l’abitato, per la cui opera e assistenza il predetto Querenty aveva offerto al Gualliò la somma di 650 scudi in danaro contante e 50 pecore in Il complesso della chiesa della Beata Vergine di Loreto a Mamoiada, vista da/la piazza comune. L’atto del 1709, con l’aggiunta di altre 50 pecore in comune, rinnova i patti precedenti, per fugare questioni e contrasti sulla conclusione dei lavori. Nel primo contratto la chiesa doveva essere conclusa e perfezionata come la chiesa del glorioso S. Antonio Abate dell’illustre e magnifica città di Cagliari e nelI’atto di rinnovo il maestro Gualliò si impegna ad ultimarla dentro e fuori come la chiesa cagliaritana, “tranne che non resta boligat aflores ypersungris que non tocan y no pertenessen a son arte”. L’edificio in questione è dunque intitolato alla Santissima Vergine di Loreto ed è detto “nuova chiesa”; nel 1709 la sua costruzione risulta già iniziata a seguito del primo contratto stipulato tra il Gualliò ed il Querenty l’anno precedente.Nel 1709 risulta inoltre già esistente la Confraternita di N. S. dei Sette Dolori (alla quale sarà dedicata una delle tre cappelle nella stessa chiesa e nel 1783 le decorazioni nella volta dell’oratorio) ma non la Confraternita della Vergine di Loreto, citata invece nel Registro di Amministrazione redatto a partire dal 17234, a lavori quasi ultimati ed a chiesa già officiata. ll committente è Quirico Querenty, della villa di Mamoyada e devoto di Nostra Signora di Loretoäç non ha l’appellativo di nobile, a differenza del priore don Antonio Sedda Satta, ma è certamente un personaggio benestante per poter intraprendere la costruzione di un’opera di tali dimensioni e complessità costruttive, tanto da affidare i lavori non a maestranze locali ma alla bottega lombarda del Gualliò, che in quegli anni nelI’isoIa si era resa interprete delle istanze di rinnovamento seguite nella fine del XVII secolo alla lunga tradizione costruttiva tardogotica di marca iberica. L’araldica sugli stemmi rinvenuti nell’abside potrà forse indicare qualche dato in più sul munifico committente. Giuseppe Gualliò o Quallio, capomastro e capo bottega lombardo con una fervida attività nell’isola, è in quegli anni attivo nel cantiere della basilica della Madonna dei Martiri a Fonni, con l’incarico di ristrutturare ed ampliare la chiesa esistente e realizzare il Santuario sotterraneo.

Nella chiesa di Loreto a Mamoiada le stesse maestranze si confrontano con i complessi lavori di una struttura ad impianto esagonale centrico.

I lavori pattuiti escludono la parte “tranne che non resta boligataflores ypersungris que non tocan y no pertenessen a son arte”, di difficile interpretazione, forse allusiva alla realizzazione delle finiture e del partito decorativo? D’altra parte, a differenza dei suoi collaboratori lombardi Arietti, Mutoni e Corbellini che sono attivi a Fonni, a Sassari ed a Cagliari anche col ruolo di stuccatori, il Quallio riveste la sola qualifica di Mastre ed a Fonni, si evince, di impresario.

Quale che sia la interpretazione del rigo, certamente il contratto escludeva alcune parti importanti del lavoro sull’erigenda chiesa, tali da meritare l’apposita specifica contrattuale. .

La Chiesa di Loreto in una cartolina del 1971

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È da considerarsi poi singolare che il Querenty abbia vincolato la bottega del Quallio alla realizzazione di una chiesa sul modello di un’altra in Cagliari che in quegli anni risulta ancora in costruzione (i lavori della chiesa di S. Antonio abate sono già iniziati en forma Rotunda nel 1704 ad opera di maestranze ancora non individuate e la chiesa è consacrata nel 17239). ln ogni caso, posto che rimpianto centrico della attuale chiesa di Loreto si debba alla ristrutturazione di una fabbrica preesistente o alla precisa volontà della committenza di evocare la centralità del tempio della casa di Loreto, il riferimento a modelli certi, come in uso nei contratti edili del tempo, dovette rimandare necessariamente a coeve realizzazioni a icnografia centrica: il citato Sant’Antonio oppure il San Miche le, sempre a Cagliari, che in quegli anni doveva aver realizzate almeno le strutture”. Non sembra scontato il riferimento al modello del S. Antonio se non ipotizzando un coinvolgimento della bottega dei Quallio nel medesimo cantiere.

La chiesa della Vergine di Loreto può dunque comprendersi a pieno titolo all’interno di un filone iconografico centricosperimentato nella Sardegna barocca da maestranze extrainsulari ed esempio di un rinnovamento del gusto felicemente accolto dalla committenza locale. Posto il riferimento al modello, rimane tuttavia aperta la questione della scansione senaria della rotonda mamoiadina che non corrisponde all’impianto ottagonale del Sant’Antonio cagliaritano, peralda una restituzione grafica in scala 1/100) tro con iconografia a spinta longitudinale lungo l’asse principale. Sembra invece rimandare al tamburo esagonaie della chiesa di S. Bernardino a Busachi” la stereotomia volumetrica della parte tergale della chiesa di Loreto. Anche il rapporto con lo scenario urbano costituisce a Mamoiada un unicum se si considera che le altre due chiese centriche sarde del Sant’Antonio e del San Michele a Cagliari sono progettate ab origine per essere inglobate tra le strutture rispettivamente di un ospedale e di un convento, che di fatto ne obliterano il volume esterno.

Una interessante nota di storia sulla costruzione della Vergine di Loreto e sulla sua potenziale importanza strategica riguarda la vicenda dell’intenzione di alcuni religiosi della comunità dei Serviti di Sassari, nel 1718, di fondare un loro Convento presso la chiesa, già visitata durante un precedente sopralluogo. Il progetto non è attuato per la veemente opposizione dei frati minori Osservanti della Basilica dei Martiri a Fonni“. La cronaca sul cantiere dell’erigenda chiesa continua col “Registro di Amministrazione della chiesa di Loreto a Mamoyada”15, redatto a partire dal 1723 fino al XIX secolo, con una accurata descrizione delle entrate e delle uscite riguardanti i lavori ed i materiali utilizzati per la fabbrica. Nella prima nota di cargo, che riferisce di entrate anche degli anni precedenti, e citato il committente Quirighe Querenti devoto de la SS. Vierge de Loreto de todas las entradas y elimosinas algun de la (…) SS Vierge. La successiva nota di descargo dello stesso 1723 registra a mastre Juan Baptiste Arieti /a cuenta de la conclusion de la iglesia segun la obbligassion del contrato ciento y sinco scudos y sinquenta (. . .)È dunque subentrato un nuovo capomastro nelle veci del Quallio, che conclude i lavori secondo quanto stabilito dal contratto, quello del 1708 o del 1709, evidentemente con i fondi ancora a disposizione dal lascito del Querenty.

Anche l’elenco dei pagamenti seguenti sottende ad una chiesa in gran parte già costruita e dunque prossima alle finiture se nel 1723 si prowede al pagamento a Ios mastres han trabajado la pisarra ha sen/ido per las capillas aconche del cinberio guarnatione y campanarioifi. È poi pagato il Maestro Josep Usay por la hida ha echo ala V(iIl).a de Ottana por quitar los cantos han sen/ido a la puerta de (…) paredes”; nel descargo degli anni 1724-26 è registrato ancora il pagamento per aconche dita iglesia ed oltre per componir las barandillas e per il ferro, verosimilmente l’inferriata che doveva diaframmare il presbiterio e l’abside nel 1727 la madera del pulpito ed altri pagamenti per le feste di Maggio, segno che nel mese mariano la chiesa è già in grado di essere officiata. Tra gli altri materiali, oltre a gran quantità di pisarra e cal, spesso de Oliena, il Registro annota anche di entejada de Campidano”, di tejas provenienti da Dorgali, di ferro generico ma anche di hierro y acero”, di cuerdas de la fabbrica. Un saldo riferito al 1721 è a tale Ignazio Grossa (o Gratta), forse un fornitore locale, per todo el tempo ha assistito a la fabbrica homo de cal y sacar pietra para el hierro i pisarra”.

Il nome di mastre Juan Bap.te Arieti compare nel Registro di Amministrazione in data 1723 in bella grafia, come menzionato perla prima volta; J. Ganliò è registrato soltanto in una nota pregressa del 1720, nonostante sappiamo essere già defunto almeno dal 1715.

Giovanni Battista Arietti è un capomastro di origine lombarda, documentato per la prima volta nell’isola nel 1710 nel cantiere di Fonni, impiegato con la direzione del Quallio come maestro fabricero e stuccatore insieme ai lombardi Corbellini e Mutoni ed ai pittori Are”.

Nel cantiere di Mamoiada prende certamente le veci del Quallio rilevandone il contratto, come espresso nel primo descargo del 1723 per la cuenta de la conclusion de la iglesia, che registra il pagamento di centocinque scudi e altri cinquanta. Poiché la chiesa risulta già in gran parte costruita (il primo saldo fuori contratto all’Arietti è registrato per la pisarrazt), non è escluso potergli riferire anche il programma decorativo generale degli interni, se è vero che il Quallio contratto per la sola costruzione e non per quelle parti “que non tocan y no pertenessen a son arte”.

Il progetto per l’invaso prevedeva forse un registro cromatico gioioso e squillante al pari del sotterraneo Santuario Martiri di Fonni. come si può senza difficoltà immaginare estendendo a tutta la rotonda le decorazioni recentemente riportate alla luce nell’abside. Alla bottega dell’Arietti potrebbero essere attribuiti anche i simulacri di stucco in dimensione umana, un tempo allocati sull’apice delle lesene e distrutti durante gli sciagurati lavori di metà del “Novecento”. I successivi pagamenti sono riassunti in una nota del Registro del 15 de henero 1731 riguardanti emo/umentos dela Vierge de Loreto, se la an somado las quentas ypr. los años 24, 25, 26, 27, 28, 29.

ll cantiere è finanziato almeno fino al 1729, anno in cui si registra il descargo per l’aconche de la Iinterna, evidentemente il lanternino di chiusura della cupola. Nel 1731 si paga ancora chi ha sacado la pisarra e pietra de cal necessari de las fabbrica. Sono anni in cui l`Arietti non lavora più assiduamente al cantiere di Mamoiada perché impegnato in altre commesse: ad Alghero con la qualifica di Capomastro del Re fra 1726 e 1729, in seguito ad Oristano alla ricostruzione della cattedrale fra 1731 e 1743, nel 1732 a Ozieri per il collegio dei Gesuiti e nel 1740 ad Oliena ancora per i Gesuiti. L’Arietti morirà nel 174325, a chiesa presumibilmente ultimata, nonostante nel registro si continuino ad annotare note di cargo y descargo, sia per materiali edili che per l’organizzazione delle feste marianeze. Nel Registro, fino circa agli anni trenta del “Settecento, sono presenti anche altri creditori e Mastre a cui sono riferiti i pagamenti per le opere ed i materiali, evidentemente maestranze locali o diverse dalla bottega Quallio-Arietti, in buona sostanza fuori contratto, che altrimenti non avrebbero curato in forma personale gli aspetti economici.

Nel dia 8 de Henero 1734 insieme a on Diego Meloni e Prisca, pone la firma nel Registro, per emolumentos decha Confraria, Joseph Salvador Piras,già indicato nella contabilità precedenteforse come capomastro. al quale si puo supporre sia affidato il compito del completamento della chiesa e forsanche la realizzazione del programma deoorativo degli interni”.

Nel 1738 si paga inoltre la tribuna a Juan Mura, la hechura confessionario, il pintor de Fonny por pintarlas co/umnas, ed altri lavori a l’aconche de la cupola. Anche il panorama della committenza e dei personaggi che ruotano intorno alla amministrazione della fabbrica sembra essere cambiato. La confraternita della Madonna dei Sette Dolori retta dal priore don Antonio Sedda Satta, cosiccome nel contratto del 1708, è divenuta, almeno dal 1723, Confraria de Loreto rappresentata dal nobile Pedro Pablo Crisponi. Nel 1734 è denominata Confraria de la Santissima Vergine di Loreto e de los dolores de Maria in un atto stipulato a casa del nobile don Proto Meloni, in cui firmano Joseph Salvador Piras, don Diego Meloni e Prisca, Gregorio Melis; ed ancora Confraria de Loreto nel 174534. Non sappiamo quale ruolo il Querenty avesse svolto nella istituzione della Confraria de Loreto, giacché non è chiaro se nella nota di descargo del 1723 fosse ancora vivo o se fosse stato semplicemnte citato in merito alle obbligazioni del lascito. Nel 1731 risulta però certamente morto se i pagamenti annotano se ha dado per el sen/isio hecho a Quirigo Querenti segun Ios marche en Ios testamentos35. I firmatari del Registro, risultano ancora il Crisponi ed i Melony, forse i nuovi mecenati.

La chiesa è ormai nel vivo delle funzioni; nel 1738, il reggitore del ducato di Mandas si preoccupa di pagare all’amministrazione di Loreto una limosina de dos escudos cada anos che S. E. paga por el alzeite dela Lampara segun decreto del Ill. Regidor, cioè l’olio della lampada nel periodo quaresimalew. Nuovi lavori edili interessano l’edificio nel 1772. ll giorno 22 ottobre il nobile don Agostino Melis, amministratore della chiesa della SS. Vergine di Loreto, col consenso del rev. rettore Pietro Porcu, stipula un contratto notarile con il mastro Francesco Selis, muratore nativo della città di Cagliari e domiciliato a Paulilatino, per l’esecuzione entro un anno di interventi di restauro sulla chiesa, per la somma di 440 scudi”. Nello specifico le opere consistono nella riparazione di tutta la parte esterna, “dalle fondamenta fino alla croce, levando tutto il mattone” (si legga: la pisarra) “che sta nella cupola e mettendolo nuovo e tinteggiato, ponendo prima quattro dita e secondo il punto mezzo palmo di smalto intorno alla cupola per ottenere una maggiore elevazione” e poi il mattone tutto tinteggiato ed ogni mattone con il suo chiodo ben infisso, come richiede l’arte, e leve-rà anche il mattone che sta nel cupolino della croce e lo sostituirà con lo stesso materiale tinteggiato e anche le cordonate” le farà di tegole tinteggiate, come le camineras4° sia superiori che inferiori le come pure non trova riscontro l’attuale soluzione di copertura.

ll vano oggi utilizzato come sagrestia, o in origine Oratorio della Confraternita della Madonna dei sette dolori, è un ampio vano rettangolare coperto con volta a padiglione unghiata in mattoni, decorata con un parco registro in stucchi a basso rilevo di rosette e cherubini e lo stemma centrale simbolo dell’Addolorata. Le murature ospitano rispettivamente due nicchie nei lati corti e diaframmano l’innesto della volta attraverso un’ampia treabeazione modanata, decorata con racemi di stucco a bassorilievo nei colori originari del rosso e bianco, e teste d’angelo angolari. Dall’oratorio si accede ad un vano minore retrostante, che abbraccia il setto circolare della chiesa, forse l’originaria sagrestia che comunica infatti con l’estremo lembo del presbiterio. Dall’oratorio si accede anche alla chiesa, nella scarsella del pulpito, questo un tempo pure in comunicazione con il vano scala del campanile. L’attuale pavimentazione dei due vani è il risultato dei recenti restauri e sostituisce, nell’oratorio, un getto di cemento a stampo, ed un pavimento in quadrelle di laterizio, forse settecentesche, nella ex sagrestia, di cui è stato conservato un lacerto.

GLI AFFRESCHI – A cura della Dott.ssa Maria Paola Dettori

In seguito agli ultimi interventi di restauro della Chiesa sono stati rinvenuti alcuni affreschi di estremo pregio che erano stati in precedenza coperti da quelli che noi abbiamo sempre conosciuto.

Lo studio della Dott.ssa Dettori ci riporta un ampio quadro sulla loro probabile origine anche se ad oggi ancora non se ne sa con certezza l’autore. Dei precedenti che ricoprivano l’abside sappiamo che erano stati realizzati da Emanuele Carboni e rappresentavano la Madonna di Loreto e la traslazione della Santa Casa, un partito decorativo che risalitva al XIX secolo.

Gli attuali affreschi affioravano già da tempo, visto il degrado di quelli già visibili, solo dopo aver accertato la possibilità di recupero di questi ultimi è stato scelto di rimuovere le decorazioni del 1800.

Le decorazioni del 1800 oggi rimosse

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Purtroppo nel 1715 Giuseppe Quallio morì e l’Arieti era subentrato  nella direzione dei lavori, insieme a lui vengono pagati i maestri che hanno lavorato nelle cappelle, nel sistemare la cupola, la decorazione e il campanile, ma nel libro dell’Amministrazione della Chiesa di Loreto non vengono menzionati i loro nomi nè quelli dei pittori che per tanto rimangono ignoti.

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Gli affreschi della Chiesa di NS di Loreto riportati recentemente alla luce grazie al restauro.

Ma nel 1723, prima e nel 1729 viene citato negli stessi libri  per ben due volte un “pittore di Gavoi” Pietro Antonio Nonnis ” Al pintor de Gavoy por las manos de la Virgen” – nel 1723. Nel 1729 ” Al pintor de Gavoy por renovar las insinias”.

Ma si tratta comunque di un pittore di opere lignee infatti nel 1739 per la sistemazione viene incaricato un altro pittore: Juan Thomas Piras.

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La solenne consacrazione della Chiesa avviene una decina d’anni dopo dagli ultimi lavori, nel 1804 a opera di Alberta Maria Solinas Nurra carmelitano divenuto vescovo della Diocesi di Galtelli Nuoro. Il suo stemma in marmo bianco dal pregevole intaglio compare sul pulastro destro  dell’arco trionfale.

Dai tasselli di prova aperti durante una precedente campagna di restauro si era appreso  che i partiti decorativi erano almeno 3 il primo databile intorno al 1723, il secondo testimonierebbe l’intervento del 1793 e il terzo realizzato dal pittore di Ittiri Emanuele Carboni databile tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, presumibilmente nel 1898 anno in cui è stato eretto il nuovo altare di marmo.

Nella “nostra” Loreto la struttura della decorazione dipinta è, come accennato, chiaramente bipartita e divisa in due registri,superiore e inferiore, delimitati dalla cornice marcapiano in stucco e aggettante:in alto è il racconto della Traslazione della Santa Casa; in basso si attinge al repertorio barocco costruendo una finta architettura d’inquadramento dell’altare (presumibilmente a stucco, o forse ligneo, oggi perduto) nella quale compaiono, secondo uno schema consueto negli altari lignei dell’lsola, le doppie colonne,lisce le interne, tortili le esterne, due finte porte laterali (la sinistra brutalmente distrutta dall`inserimento di una vera porta moderna) e si drappeggiano tendaggi e sontuosi panneggi; ai lati è l’omaggio ai nuovi regnanti e ai committenti, ricordati da due grandi emblemi nobiliari: sulla sinistra è infatti lo stemma, un po’ semplificato, di Casa Savoia, ai quali l’lsola era passata (molto male accetta) nel 1720; a destra è un`arma non identificata, e che non corrisponde ai soli nomi citati nelle cronache d’archivio, Giuseppe Galisay e il nobile don Antonio Sedda Satta.

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ll primo appartiene a un`importante famiglia mamoiadina, che ottiene il cavalierato già nel 1541, ma il riconoscimento della nobiltà solo nel 1735: in ogni caso la sua arma è parlante, e presenta due galli e tre pali d’oro; La Sedda Satta sembra invece costituita dall’unione di due diverse famiglie nobili: i Satta, originari della Gallura, trasferitisi in parte a Bitti, che ottengono la nobiltà nel 1646 e si stabiliscono nel XVlll secolo a Mamoiada; e i Sedda, che sono invece originari del l\/landrolisai; uno di loro, Martino, forma il ramo di Mamoiada, conseguendo la nobiltà nel 1700: le loro armi sono però alquanto differenti dalla nostra”. Ciò che colpisce nei dipinti della calotta absidale, purtroppo mutili della parte centrale, sono fondamentalmente due cose: la libertà d’invenzione, pur nel rispetto del racconto, che si traduce in una parallela rustica spigliatezza del linguaggio pittorico, e la delicatezza della cromia, unica nel suo genere nelle coeve “decorazioni parietali della Sardegna centrale: nel raffigurare i cieli popolati di cherubini che fanno corona ai due angeli e alla Santa Casa (sulla quale doveva stare assisa, secondo tradizione, la Vergine col Bambino, al di sotto del Dio Padre benedicente) agli abituali e alquanto diffusi ocra, rosso porpora e verde si affiancano delicate tonalità rosate e cilestrine, qua e là viranti al malva e al violaceo. ll maestro che realizza questa scena dimostra poi un’indubbia conoscenza, forse anche in parte diretta oltreché mediata dalle stampe, e di un certo tipo di architettura e della struttura delle navi, che traccia con ricchezza di particolari: con tratto leggero sono delineati i due alberi, le sartie e le vele giustamente raccolte, dato che i vascelli sono alla fonda in un porto d’Oriente, presumibilmente a Costantinopoli, come pare suggerire I’edificio (qui a pianta centrale) cupolato che allude a Santa Sofia: Nazareth era allora infatti sotto il dominio turco. Alla rotonda classicheggiante (un pentimento mostra che il pittore aveva inizialmente previsto anche un portale timpanato) si addossano contrafforti e altri corpi di fabbrica, forati da oculi e parecchie ulteriori aperture: più che a Santa Sofia il rimando più immediato sembra essere quello alle numerose rotonde del romani co lombardo. Abbastanza inusuale appare anche la decorazione del sottarco, fatta di clipei e medaglioni mistilinei contenenti vere e proprie nature morte (vasi di Fiori). oggetti simbolici (il melone, allusivo al nome del rettore della chiesa aII’epoca dei lavori, don Pedro Meloni, parroco a Mamoiada dal 1704 al 1735), figure di buffi cherubini, dalle guance rubizze e dal ooccoli biondi e ricciuti, uno con la bocca ridente semiaperta a mostrare i denti. Insolite e poco rispondenti ai modelli diffusi n zona appaiono anche le figure di orientali che osservano la scena. Nella parte inferiore l’intradosso è invece omato da un decoro floreale a racemi e volute, che prende awio, in maniera speculare, dalla parte bassa del pilastro scaturendo dal cantaro presso il quale stanno affrontate per le terga due pavoncelle; quest’ultimo è un motivo decorativo piuttosto antico, il cui significato salvifico è legato alla resurrezione, simbolicamente richiamata dall’acqua e dai pavoní, indicanti l’immortalità dell`anima: già noto nel periodo paleocristiano, gode di ampia diffusione in età bizantina, ma appare ormai abbastanza inusuale per una cronologia così avanzata, tanto più che al di sopra di esso compare una struttura a baldacchino decisamente barocca. Sulla parete di fondo si sviluppa invece l’altare barocco più su descritto.

Nel suo complesso un simile partito decorativo non trova quindi I’immediato riscontro che è possibile effettuare per gli altri cicli noti; trae anzi con certezza i suoi modelli non soltanto dal coevi dipinti murali ma anche da tele e altari lignei, dai quali derivano particolari decorativi -i ricorrenti vasi di fiori- e spunti iconografici: è infatti possibile avanzare confronti sia con opere presenti nel santuario della Madonna dei Martiri di Fonni -impegnativo e ricco cantiere per buona parte del XVIII secolo- sia con alcuni di poco precedenti lavori sassaresi, guarda caso anch’essi, come Fonni, di ambito francescano;

Questa rappresenta sicuramente uno degli studi più completi sinora fatti sulla Chiesa di Loreto a Mamoiada. Purtroppo non ci restano documentazioni fotografiche relative agli anni ’50, periodo in cui le pitture della volta, le statue, i rivestimenti lignei furono completamente distrutti dall’ignoranza. Restano i registri e gli atti ufficiali che risultano però in parte incompleti.


Altre notizie su Loreto:

Il pannello che potete osservare nella foto che segue era stato rinvenuto nel 2000 circa e si trovava letteralmente buttato in un cortile di una proprietà privata. Apparentemente potrebbe non significare nulla ma in realtà si tratta di uno dei pannelli di rivestimento interno della Chiesa di N.S. di Loreto a Mamoiada. Era stato esposto al pubblico in occasione della mostra di Arte Sacra a Mamoiada e ve lo rimostriamo qui su questo portale per aggiungere pian piano dei tasselli importanti alla ricostruzione della nostra memoria.

pannello_di_rivestimento_chiesa_di_loreto

Anche il Tabernacolo di cui vi mostriamo la foto è appartenente alla Chiesa di Loreto, viene datato intorno al 1600 (almeno lì era stato ritrovato), considerato di poco valore o comunque di non pregevole fattura era stato utilizzato sino al 2000 come base d’appoggio della Madonna di Loreto nella nicchia sull’Altare.

tabernacolo_chiesa_di_loreto_1600_circa

Le condizioni in cui è stato trovato nel 2000 non erano di certo ottimali, ma proprio la mostra di Arte Sacra è servita a catalogarlo e dargli una giusta custodia al fine di preservarlo da ulteriori deterioramenti.

Ringrazio ancora Gabriella Frulio e Maria Paola Dettori e La Soprintendenza ai Beni Culturali per avermi dato la possibilità di divulgare parte di questo splendido lavoro, e un ringraziamento anche per il lavoro svolto nella preservazione di questo imponente  e simbolico monumento mamoiadino.

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