La leggenda di Norculanu

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Barbaricina

Antiche STORIE barbaricine

Qualche mese fa in seguito ad una piacevole conversazione con l’Arch. Pigozzi di Nuoro a proposito di leggende barbaricine, venne fuori la storia del toro di Norculanu di Monte Fumai.

Nel Supramonte di Orgosolo, proprio alle pendici del monte, esistono ancora i ruderi di un antico villaggio pastorale, meta dei miei numerosi trekking. Ecco perché è una di quelle antiche leggende che adoro sentire raccontare, perciò mi sono messa alla ricerca di ulteriori notizie, non facilmente reperibili sul web.

Ma ci sono fonti che al web gli fanno letteralmente un baffo e quindi chiesi al poeta Juvanne Pira di Orgosolo se ne sapesse di più, la curiosità era tanta.

Ovviamente gentilissimo come sempre mi raccontò la storia da lui conosciuta che riporto qui integralmente:

Norculanu era figlio di un pastore che insieme al padre aveva l’ovile a Fumai e che quando tramontava il sole da un formicaio uscivano le formiche, che una volta fuori, diventavano mucche, ed erano cento per ogni colore del manto (Pilu) tanta che lui vedendole uscire diceva: “Assè, assè, vahas meas de armentu– de cada pilu hentu… quando centinaia e centinaia di mucche erano venute dal formicaio, ad uscire per ultimo era il toro, grande quanto una montagna, dal pelo luccicante e nero come la pece, le sue corna appuntite, perché ogni notte doveva combattere con “Brusore” il diavolo, lo spirito malefico che voleva impossessarsi di tutta la mandria.

Mandria che durante la notte raggiungeva i salti dei paesi vicini fino alla Baronia presso Monte Pitzinnu e la mattina presto a Fumai prima che spuntasse il sole. Il toro era l’ultimo ad entrare quando tutte erano al sicuro, ma ogni notte era una guerra, tornava stremato, sentiva che non ce l’avrebbe a continuare, Brusore era sempre più forte e lui stava per soccombere. Allora disse a Norculanu: “Devi farmi un rivestimento di acciaio per le mie corna, soltanto cosi potrò lottare alla pari con Brusore e sconfiggerlo.” Norculanu gli promise che avrebbe fatto il possibile di accontentarlo. Lavorò tutto il giorno e quando al calar del si mise all’uscita dal formicaio aspetto il toro e gli infilò le protesi d’acciaio sulle corna. L’indomani mattina avvolte alle corna del toro c’erano le budella e pazzi dell’intestino di Brusore , il toro di Norculanu aveva vinto…

villaggio di Monte Fumai
Particolare dei resti del villaggio alle pendici di Monte Fumai. (f.to Sara Muggittu)

La storia pare non finisse qui ma tziu Juvanne non ricordò altro.

Quando ormai avevo archiviato la storia ecco che rileggendo il libro “Pietre Magiche a Mamoiada”, tra le lettere dell’Ing. Melis, saltarono fuori due versioni di questa leggenda.

Le lettere si trovano custodite nel Fascicolo del Fondo Melis donato dall’Ing. alla Biblioteca Satta di Nuoro. Nella corrispondenza con il suo amico Giovanni, l’Ing. racconta di aver raccolto le memorie di Agostino Murredda.

Gli raccomanda di non parlarne con nessuno per paura che possano ridere di lui. Era il 22 gennaio 1912 e così scriveva:

Nel piede di Monte Fumau, alla parte di Corru ‘e Boi, vi è il vacchile detto delle vacche dell’incanto situato quasi a mezzogiorno ed un poco verso levante, ha la grandezza di una tanchetta ma è distrutto, segno che è molto antico, vi sono sette fricchiles distrutti anch’essi. Dicono gli orgolesi che questo fosse il vacchile fatto dal diavolo da un buco di formiche. Dicono che a un ragazzetto pastore vaccarju apparisse ogni giorno un signorico, mentre gli dava attenzione alle vacche, e le diceva se volesse far vacche: dopo esserle presentato tante volte facendogli sempre la medesima domanda, il ragazzo tornato in cuvile lo raccontò ai grandi che vi erano, i quali consigliarono il ragazzo di risponderle, quando lo vedeva di nuovo, di sì e che ne facesse cento vacche d’ogni pelo come per esempio: cento nere, cento rosse, cento bianche, cento hanas, cento varjas ecc…e quando il ragazzo tornò al suo posto presso le vacche di nuovo comparisce il signorico che ripete la stessa domanda ed il ragazzo risponde come le era stato consigliato dai grandi dell’ovile, allora il signorico chinata la testa in un buco di formiche fece sortire da questa tante vacche e dello stesso pelo che il piccolo pastore aveva ordinato. In ultimo il ragazzo ordinò di far uscire un toro che non ve ne fosse uguale e lo stesso fu.

Tante erano le vacche che i pastori non potevano tenerne la custodia ed avevano per pascolo i salti di Orgosolo, Fonni, Mamojada, Ludine, Gavoi e dei paesi vicini ma all’ora di mungere si suonava una cornetta a Monte Fumau e là si raccoglievano le vacche all’appello.

Il toro correva da Monte Fumau a Monte Pizzinnu (di Baronia) per guerreggiare col diavolo. Un giorno però il toro disse al padrone che le sue corna perdevano forza ed aveva bisogno di acciajargliele, il padrone lo fece ed il giorno dopo il toro tornò dopo la solita corsa con un pezzo di intestino del nemico avvolto alle corna, segno che avevo vinto la guerra, perdendo la quale tutte le vacche e il toro sarebbero ridivenuti formiche.

In Monte Pizzinnu vi è ancora una fossa chiamata sempre Sa ossa de su travu de Muscaleo.

In una lettera successiva datata Mamojada 7 marzo 1912 l’Ingegnere scrive all’amico Giovanni di avere avuto una conversazione con tale Luisu Muscau sempre di Orgosolo e che lo stesso conosceva ” su òntu “

Vi sono nel piede di Monte Fumau un vacchile della grandezza di una tanchetta ordinaria ed undici frichiles, tutto distrutto. E’ chiamato su vacchile de Fumau o de Norculanu. Si chiamava Norculanu il padre del ragazzetto che badava le greggie, il padrone delle vacche dell’incanto. Quello che fece le vacche non era un signorico ma il servo stesso di Norculanu che era fattucchiero. Parlava il fattucchiero al figlio del padrone mentre erano soli nella regione di Uniaro, ai piedi anche questa regione di Monte Fumau ad una distanza presso a poco come da casa alla vigna di Cardia (sa rughe de Sant’Anna). Norculanu consigliò il figlio che dopo fatte le vacche uccidesse il fattucchiero per tema che non divenissero di nuovo formiche, ed il figlio l’uccise con una pistola. Ma le vacche che il fattucchiero vide nel girar la tsta si rifecero formiche. Quelle che rimasero vacche erano però in numero assai maggiore. Dopo la morte del fattucchiero restava ancora il dubbio che le vacche venissero ritornate formiche dal nemico che dava forza al fattucchiero, ma dal giorno che al toro furono accijate le corna vinse la guerra e le vacche rimasero vacche.

Il toro disse al padrone: “Attarjaèmi sos orros si nono perdies s’armentu”. S’armentu vuol dire gregge. Esiste ancora a Monte Fumau il posto dove furono acciajate le corna al toro. Siccome le vacche erano numerosissime e i pastori non potevano tenerne custodia e pascolavano abusivamente dapertutto anche nei seminati e furono per queste messe all’incanto dal che presero il nome di vacche dell’incanto.

La moglie di Norculanu che nel momento dell’incanto sentiva muggire le vacche cantava: Intè, niedda mura – sa domo mea ischura – Intendela ha mudà – sa domo mea ètà . (Rif. Bibliografico: Pietre Magiche a Mamoiada di Giacobbe Manca – pag. 347-48-49-50.)

Chissà se anche quelle corna incise nelle antiche sepolture di Istevene ricordano un tempo lontano il cui un Dio toro era venerato ed adorato dai nostri avi. Sognando di altri tempi e altre storie, continuo le mie ricerche per raccontarvi qui di questi tempi passati, della nostra storia.